Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F.  80007580279 -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta  regionale  n.  1220  del  28   settembre   2015   (all.   1),
rappresentato e difeso, per mandato  a  margine  del  presente  atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F.
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (C.F. NTNLCU63E27D8691) del Foro di  Milano  e  Luigi  Manzi
(CF. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto  presso
lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri,  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org). 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni  del  decreto-legge  19  giugno  2015  n.  78,   recante
«Disposizioni urgenti in materia di  enti  territoriali»,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015,  come  convertito
con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 (in S.O.  n.  49,
relativo alla Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2015, n. 188): 
        art. 5, commi da 1 a 6; 
        art. 7, comma 9-quinquies; 
        art. 9-bis; 
        art. 9-ter, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9; 
        art. 9-quater, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7; 
        art. 9-septies, commi 1 e 2. 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi da  1  a  6,  del
decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78,  per  violazione  degli  articoli
117, III e IV comma, 118 della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 5 del  decreto-legge  n.  78  del  2015,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6  agosto  2015,  n.  125,  determina  una
profonda alterazione  della  posizione  costituzionalmente  garantita
alle regioni, in quanto, anche in violazione dell'accordo sancito tra
Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11  settembre  2014
(all.  2),  viene  indebitamente  compressa  l'autonomia  legislativa
regionale. 
    Difatti, in violazione del suddetto accordo -  che  espressamente
escludeva al punto 11, le funzioni provinciali nelle materie  oggetto
di future riforme, indicate nell'allegato, e cioe' con riguardo a: i)
servizi per il lavoro e politiche attive, ii) forze di  polizia  -  ,
l'art. 5 del decreto-legge n. 78/2015 include ora tra le funzioni  da
riallocare con legge regionale, ai sensi del comma 89 della legge  n.
56 del 2014, anche la polizia provinciale. 
    La  disposizione  de  qua   (Misure   in   materia   di   polizia
provinciale), senza che sia intervenuta alcuna riforma  e  quindi  in
violazione  anche  del  principio  di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost., stabilisce infatti che: 
        «1. In relazione al riordino delle funzioni di  cui  all'art.
1, comma 85, della legge 7 aprile  2014,  n.  56,  e  fermo  restando
quanto previsto dal comma 89 del medesimo articolo  relativamente  al
riordino delle funzioni da parte delle regioni, per quanto di propria
competenza, nonche' quanto previsto dai commi  2  e  3  del  presente
articolo, il personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia
provinciale di cui all'art. 12 della  legge  7  marzo  1986,  n.  65,
transita nei  ruoli  degli  enti  locali  per  lo  svolgimento  delle
funzioni di polizia municipale,  secondo  le  modalita'  e  procedure
definite con il decreto di cui all'art. 1, comma 423, della legge  23
dicembre 2014, n. 190. 
    2. Gli enti di area vasta e le citta'  metropolitane  individuano
il personale di polizia provinciale necessario per l'esercizio  delle
loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto  dall'art.
1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
    3.  Le  leggi  regionali  riallocano  le  funzioni   di   polizia
amministrativa  locale  e  il  relativo  personale  nell'ambito   dei
processi di riordino delle  funzioni  provinciali  in  attuazione  di
quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014,  n.
56. 
    4. Il personale non individuato o non  riallocato,  entro  il  31
ottobre 2015, ai sensi dei commi 2 e  3,  e'  trasferito  ai  comuni,
singoli o associati, con le modalita' di cui al comma 1.  Nelle  more
dell'emanazione del decreto di cui al medesimo comma 1, gli  enti  di
area vasta e le citta' metropolitane  concordano  con  i  comuni  del
territorio,  singoli  o  associati,  le  modalita'   di   avvalimento
immediato  del  personale  da  trasferire  secondo  quanto   previsto
dall'art. 1, comma 427, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
    5. Il transito del personale di cui al comma 1  nei  ruoli  degli
enti locali avviene nei limiti della relativa  dotazione  organica  e
della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, in deroga
alle vigenti disposizioni in materia di  limitazioni  alle  spese  ed
alle assunzioni di personale, garantendo  comunque  il  rispetto  del
patto di  stabilita'  interno  nell'esercizio  di  riferimento  e  la
sostenibilita' di bilancio. Si applica quanto previsto  dall'art.  4,
comma 1. 
    6. Fino al completo assorbimento del personale di cui al presente
articolo, e' fatto divieto agli enti locali, a pena di nullita' delle
relative  assunzioni,  di  reclutare   personale   con   qualsivoglia
tipologia contrattuale per lo  svolgimento  di  funzioni  di  polizia
locale.  Sono  fatte  salve  le  assunzioni  di  personale  a   tempo
determinato effettuate dopo la data di entrata in vigore del presente
decreto, anche se anteriormente alla data di entrata in vigore  della
relativa legge di conversione, per  lo  svolgimento  di  funzioni  di
polizia locale, esclusivamente per esigenze di carattere strettamente
stagionale e  comunque  per  periodi  non  superiori  a  cinque  mesi
nell'anno solare, non prorogabili. 
    Tali disposizioni, dunque, si pongono non solo in  contrasto  con
l'impegno sancito del  citato  accordo  dell'11  settembre  2014  (la
violazione del principio di leale collaborazione  e'  peraltro  tanto
piu'  grave  se  si  considera  che  anche  alla   materia   «polizia
provinciale»  si  estende  ora  la  misura   sanzionatoria   prevista
dall'art. 7, di cui al punto successivo  del  presente  ricorso),  ma
anche con  la  stessa  autonomia  costituzionalmente  garantita  alla
regione. 
    Esse, infatti,  nonostante  la  materia  «polizia  amministrativa
locale» rientri pienamente nella competenza residuale delle  regioni,
prevedono (comma 1) in via  generale  che  il  personale  di  polizia
provinciale transiti nei ruoli degli enti locali per lo  svolgimento,
appunto, delle funzioni di polizia municipale. 
    Stabiliscono poi, prioritariamente, che gli enti di area vasta  e
le  citta'  metropolitane  individuino  il   personale   di   polizia
provinciale  necessario   per   l'esercizio   delle   loro   funzioni
fondamentali. 
    Solo in forma residuale prevedono che le regioni  riallochino  le
funzioni di polizia amministrativa locale  e  il  relativo  personale
nell'ambito dei processi di riordino delle  funzioni  provinciali  in
attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 89,  della  legge  7
aprile 2014, n. 56. 
    Concludono, infine, stabilendo che il personale «non  individuato
o non riallocato», entro il 31 ottobre 2015, ai sensi dei commi  2  e
3, sia trasferito ai comuni, singoli o associati, per lo  svolgimento
delle funzioni di polizia municipale. 
    In questi termini la funzione di  allocazione  costituzionalmente
garantita alle regioni, ai sensi degli artt. 117,  III  e  IV  comma,
nonche' 118  Cost.,  nelle  materie  non  rientranti  nelle  funzioni
fondamentali  degli  enti  locali,  viene  indebitamente   compressa,
risultando ridotta ad un ruolo ancillare il cui spazio di manovra  e'
praticamente inesistente. Tale funzione, infatti, da  un  lato  viene
conformata dal legislatore statale indicando in via generale l'ambito
funzionale cui il personale e'  destinato  (al  comma  1  si  dispone
infatti che il personale di polizia provinciale «transita  nei  ruoli
degli enti locali  per  lo  svolgimento  delle  funzioni  di  polizia
municipale»), dall'altro risulta del tutto indebitamente  subordinata
alle opzioni effettuate da province e  citta'  metropolitane.  Queste
ultime,  infatti,   dalla   norma   censurata   vengono   considerate
prioritarie rispetto alla facolta' regionale di  allocazione,  mentre
quest'ultima, sebbene abbia un ruolo primario, anche  secondo  quanto
stabilito dallo stesso art. 1, comma 89, della legge 7  aprile  2014,
n. 56, con quest'intervento del legislatore statale viene trasformata
in subordinata rispetto alle determinazioni degli altri  enti  locali
(citta' metropolitane e province). 
    In buona sostanza, la norma censurata  non  rispetta  il  dettato
costituzionale ne' formalmente - dal momento che degrada la  potesta'
residuale regionale in materia di polizia amministrativa locale - ne'
sostanzialmente, poiche' la disciplina  che  concretamente  introduce
svuota indebitamente i margini  di  manovra  regionale  e,  anzi,  li
subordina alla discrezionalita'  degli  enti  locali.  Va  segnalato,
peraltro, (come risulta dall'all. n. 3) che in data 30 luglio 2015 e'
stata sancita la  mancata  intesa  sul  D.M.  diretto  a  fissare  le
modalita' e le  procedure  per  il  transito  del  personale  di  cui
all'art. 5, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2015. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-quinquies,  del
decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione degli articoli  3,
5, 97, 117, III e IV comma,  118  e  119  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 7 (Ulteriori disposizioni concernenti  gli  Enti  locali),
comma  9-quinquies,  del  suddetto  decreto  legge  n.  78  del  2015
stabilisce: «Al fine di  dare  compiuta  attuazione  al  processo  di
riordino delle funzioni delle province disposto dalla legge 7  aprile
2014, n. 56, le regioni che, ai sensi dell'art. 1,  comma  95,  della
medesima legge, non  abbiano  provveduto  nel  termine  ivi  indicato
ovvero non provvedano entro il 31  ottobre  2015  a  dare  attuazione
all'accordo sancito  tra  Stato  e  regioni  in  sede  di  Conferenza
unificata l'11 settembre 2014, con l'adozione in via definitiva delle
relative leggi regionali, sono tenute a versare, entro il 30 novembre
per l'anno 2015 ed entro il 30 aprile  per  gli  anni  successivi,  a
ciascuna provincia e citta' metropolitana del rispettivo  territorio,
le somme corrispondenti  alle  spese  sostenute  dalle  medesime  per
l'esercizio delle funzioni non fondamentali,  come  quantificate,  su
base annuale, con decreto del Ministro per gli affari  regionali,  di
concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze,
da adottare entro il 31 ottobre 2015. Il versamento  da  parte  delle
regioni non e' piu' dovuto dalla data di  effettivo  esercizio  della
funzione da parte dell'ente individuato dalla legge regionale». 
    La fattispecie in oggetto, concretizzandosi nella sanzione  posta
a carico  della  regione  inadempiente  nell'attuazione  dell'accordo
dell'11 settembre 2014 di versare a province e  citta'  metropolitane
le somme  corrispondenti  alle  spese  da  queste  sostenute  per  le
funzioni non fondamentali,  configura  una  forma  di  esercizio  del
potere sostitutivo del tutto inedita, che si  differenzia  nettamente
dalle ipotesi, sia piu' risalenti (come quella  prevista  ad  esempio
nell'art. 5 del d.lgs. n. 112/98 (1) ) sia piu' recenti (come  quelle
previste dall'art. 23 del decreto-legge n. 201/2011 (2) ), in cui  il
potere sostitutivo statale veniva disciplinato in modo da esplicarsi,
nel  caso  di  inerzia  delle  regioni  nella   riallocazione   delle
competenze agli altri enti territoriali, attraverso  l'emanazione  di
norme   primarie    statali    sostitutive    direttamente    rivolte
all'allocazione delle funzioni agli enti territoriali sub  regionali.
Cosi' avvenne, peraltro con il d.lgs. n. 96/1999, che  venne  emanato
sentite le regioni inadempienti, in  considerazione  che  le  regioni
Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Lazio, Molise, Campania,  Puglia
e Calabria non avevano provveduto nel termine. 
    Peraltro, anche il comma 95 dell'art. 1 della stessa legge n.  56
del 2014 prevedeva, in caso di inerzia regionale, che l'esercizio del
potere sostitutivo statale avvenisse sulla  base  dell'art.  8  della
legge n. 131 del 2003, che e' invece stato radicalmente violato dalla
norma impugnata, dal momento che nessuna  della  fasi  procedimentali
ivi  previste  e'  stata  rispettata  (ad   esempio,   quella   della
convocazione in Consiglio dei ministri del Presidente  della  regione
destinataria dell'intervento sostitutivo). 
    Ma non solo. Con la norma impugnata risultano  parimenti  violati
anche tutti i criteri definiti dalla giurisprudenza di questa  ecc.ma
Corte riguardo alle forme di esercizio  del  potere  sostitutivo  non
riconducibili all'art. 120 Cost. Infatti, a partire dalla sentenza n.
43 del 2004, dove pure si e' stabilito che l'art. 120, secondo comma,
della Costituzione non esaurisce tutte le possibilita'  di  esercizio
di poteri sostitutivi e rimane «impregiudicata l'ammissibilita' e  la
disciplina di altri casi di interventi sostitutivi», e' stata  sempre
ribadita la necessita' di apprestare congrue garanzie  procedimentali
per l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita'  al  principio
di leale collaborazione: «dovra' dunque  prevedersi  un  procedimento
nel quale l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la
sostituzione attraverso l'autonomo  adempimento,  e  di  interloquire
nello stesso procedimento». 
    Ma vi e' di piu'. 
    Anche  a  prescindere  da  quanto  sopra  esposto,  al  fine   di
comprendere le ragioni dell'inerzia regionale deve essere considerata
la complessiva vicenda che ora  trova  il  suo  epilogo  nella  norma
impugnata. Da questo punto di vista, si deve constatare che non vi e'
migliore difesa delle  istanze  regionali  che  quella  di  riportare
alcuni significativi passaggi espressi dalla Deliberazione n. 17/2015
(all. 4) della Sezione autonomie della Corte dei Conti, che  fornisce
una cristallina ricostruzione delle  ragioni  che  hanno  portato  le
regioni vuoi all'inadempimento dell'Accordo vuoi  ad  un  adempimento
solo formale (rilevato dalla stessa Sezione autonomie).  Della  grave
situazione a seguito dei tagli  in  cui  si  sono  venute  a  trovare
province e citta' metropolitane fornisce, peraltro, evidente  riprova
anche la norma di cui all'art. 1-ter dello stesso decreto-legge n. 78
del 2015 (Predisposizione del bilancio  di  previsione  annuale  2015
delle province e delle citta' metropolitane) che  in  via  del  tutto
eccezionale autorizza detti enti locali a predispone,  «per  il  solo
esercizio 2015», «il bilancio di previsione per  la  sola  annualita'
2015», in deroga all'obbligo del triennio. 
    Nella suddetta deliberazione della Corte dei Conti,  infatti,  si
esplicita: «La legge n.  56/2014  prevedeva  per  il  riordino  delle
funzioni un iter procedurale articolato in  una  serie  di  passaggi,
primo   fra   tutti   quello   dell'individuazione   delle   funzioni
fondamentali che restano affidate  alle  Province  e  di  quelle  non
fondamentali da attribuire agli altri enti (Comuni, Regioni,  Stato),
cui doveva far seguito la quantificazione di  finanziamenti  e  spese
per gestire  entrambe  le  tipologie  di  funzioni,  con  contestuale
individuazione delle risorse umane, strumentali ed  organizzative.  A
fronte di tale iter procedurale le disposizioni recate dalla legge di
stabilita' per il 2015 ed ancora prima  l'accordo  dell'11  settembre
2014 ed il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  del  26
settembre 2014 hanno introdotto novita'  che,  in  parte,  vanificano
l'anzidetta  procedimentalizzazione.  In  particolare,  la  legge  n.
190/2014 al comma 418 individua  il  contributo  triennale  richiesto
alle Province che concorrono con una riduzione della  spesa  corrente
pari ad 1 miliardo (1.180 milioni) di euro per il  2015,  2  miliardi
per il 2016 e 3 miliardi per il 2017» (3) . 
    Si specifica poi: «I tagli imposti dalla legge di  stabilita'  si
sono  aggiunti  a  quelli  gia'  previsti  anche  per  il  2015   dal
decreto-legge n. 66/2014 e sono intervenuti  ancor  prima  che  fosse
possibile conoscere la distribuzione delle competenze  fra  Province,
Citta' metropolitane ed altri enti ... Si e'  gia'  riferito  che  la
Conferenza delle Regioni e delle Province  autonome,  nella  riunione
del 2  aprile  2015,  ha  approvato  un  documento  che  illustra  la
posizione delle stesse in merito allo stato di attuazione della legge
n. 56/2014. 
    Puo'  aggiungersi  che,  con  il  DEF  2015,  il  Governo,  nello
sciogliere positivamente il  nodo  delle  clausole  di  salvaguardia,
previste  dalla  legge  di  stabilita'  2015,  attraverso   la   loro
sterilizzazione, ha prefigurato ulteriori tagli alla  spesa  pubblica
per circa 10 mld/€. In tal modo le criticita' gia' evidenziate  circa
il percorso attuativo della legge n.  56/2014,  potrebbero  risentire
dell'ulteriore peggioramento del quadro finanziario dei trasferimenti
agli Enti territoriali» (4) . 
    Come specificato dalla stessa deliberazione «Il  nodo  essenziale
del processo  di  riordino  delle  Province  e'  rappresentato  dalla
riassegnazione  delle  risorse  finanziarie,  umane   e   strumentali
connesse all'esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento» (5) . 
    In  sintesi,  la  Corte  dei  conti   evidenzia   con   chiarezza
l'intervento  demolitorio  che   lo   stesso   legislatore   statale,
attraverso la  legge  di  stabilita'  per  il  2015  e  i  successivi
interventi di taglio  sulle  risorse  provinciali,  ha  compiuto  nel
percorso tracciato dalla legge n. 56 del 2014,  che  invece  «avrebbe
dovuto assicurare alle Province i fondi  necessari  da  corrispondere
agli enti subentranti per le funzioni trasferite» (6) . Aveva  dunque
ritenuto «indispensabili, quindi, un riallineamento  ed  un  costante
coordinamento tra  le  fasi  procedimentali  di  trasferimento  delle
funzioni e delle risorse - come dettagliatamente  disciplinate  dalla
legge n. 56/2014 - e la produzione degli effetti  finanziari  che  ad
esse si correlano, al fine di garantire una corretta attuazione della
riforma degli enti di area vasta ed il rispetto dei criteri  di  sana
gestione finanziaria, nonche' la regolarita' amministrativo-contabile
delle gestioni dei medesimi enti» (7) . 
    In altre parole, secondo la legge n. 56 del 2014 i dipendenti  in
uscita dalle province avrebbero portato con se'  uno  «zainetto»  con
«le risorse per garantirsi tutta la busta paga. Dopo  i  tagli  della
manovra, i soldi da infilare nello zainetto non ci sono piu', e  sono
gli uffici di destinazione a doversi fare carico di  tutti  i  costi»
(8) . 
    Ma, invece del riallineamento auspicato dalla Corte dei Conti, il
legislatore statale ha stabilito la misura  sostitutiva/sanzionatoria
di cui alla norma impugnata,  motivata  dalla  evidente  volonta'  di
scaricare il problema creato dallo stesso legislatore statale solo ed
unicamente sulle spalle delle regioni, chiamate a finanziare la spesa
storica (e quindi anche le diseconomie di tale spesa) delle  province
(e delle citta' metropolitane che vi subentrano) sulla  base  di  una
quantificazione operata, senza nemmeno che  sia  sentita  la  regione
interessata, con decreto del Ministro per gli  affari  regionali,  di
concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze. 
    In  questi  termini  la  norma  impugnata  si  pone  in  evidente
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., per violazione dei principi  di
proporzionalita'  (non  essendo  in  alcun  modo  evidente   che   il
legislatore  abbia  fatto  ricorso  alla  soluzione  meno  invasiva),
ragionevolezza (perche' si fa ricadere sulle regioni un comportamento
ostativo che in realta' e' imputabile allo Stato  che,  definanziando
oltre misura le  funzioni  prima  svolte  dalle  province,  ne  rende
impraticabile la riallocazione) e buon andamento (dato che si  impone
il  finanziamento   della   spesa   storica),   la   cui   violazione
evidentemente  ridonda,  per  quanto  descritto,   sulle   competenze
costituzionali della regione, anche autonomamente considerate, di cui
agli artt. 117, III, IV comma, e 118 Cost. 
    Risulta inoltre violato anche l'art. 119 della Costituzione  che,
se vieta nelle materie  di  competenza  regionale,  come  piu'  volte
ribadito da questa ecc. ma Corte i finanziamenti  statali  vincolati,
tanto meno nelle  stesse  materie  puo'  in  alcun  modo  legittimare
obblighi statali di destinazione vincolata di risorse regionali. 
    Risulta infine violato,  dai  molteplici  punti  di  vista  sopra
evidenziati,  sia  il  principio  di  leale  collaborazione,  sia  il
corretto esercizio del potere sostitutivo statale di cui all'art. 120
Cost. 
    Infine, considerando l'intera vicenda, risulta difficile sfuggire
all'eco di un palese contrasto con quanto stabilisce l'ultimo periodo
dell'art. 5 della Costituzione, dove limpidamente si afferma  che  la
Repubblica: «adegua i principi ed i  metodi  della  sua  legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». 
 
     Premessa comune alle impugnative seguenti: nn. da 3) a 6). 
 
    Gli articoli 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-septies del decreto-legge
n. 78/2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015,
n. 125, concretizzano in diverse forme un pesantissimo intervento  di
smantellamento  dell'attuale   modello   di   welfare   in   sanita',
introducendo  una  serie  di  tagli  meramente  lineari  sulla  spesa
sanitaria, senza alcuna considerazione ne' dei costi standard di  cui
agli articoli da 25 a 32 del d.lgs. n. 68 del 2011, ne'  dei  livelli
di spesa di regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati livelli
di efficienza nella gestione  della  sanita'.  Questo  nonostante  la
forte disomogeneita'  che  caratterizza,  sotto  questo  profilo,  il
sistema della sanita' regionale italiana, sia stata piu' volte  messa
in  evidenza  da  numerosi  interventi  della  Corte  dei  Conti,  da
autorevoli studi (9)  e da, anche recenti, indagini  conoscitive  del
Parlamento (10) . 
    Si realizza in  tal  modo  un  intervento  statale  che  tende  a
destrutturare in via generalizzata uno dei pochi settori pubblici  in
cui  l'Italia   si   trova   ai   primi   posti   nelle   classifiche
internazionali:  secondo  i  dati  della  World  Health  Organization
infatti il sistema sanitario italiano si collocava al  secondo  posto
per livello di qualita' (The World Health Report su dati 2000 -  all.
5) e, secondo i dati OCSE al  diciannovesimo  per  livello  di  spesa
(OECD, Health Statistics 2014) (all. 5-bis). 
    Nel loro complesso, inoltre, le suddette disposizioni  mantengono
a carico delle regioni l'obbligo di garantire  il  finanziamento  dei
Lea, la cui determinazione risale pero' al lontano 2001 - decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  29  novembre   2001,   poi
modificato dal decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  5
marzo 2007 - senza che, ad oggi, l'art. 5 del  decreto-legge  n.  158
del 2012 che ne aveva prevista la revisione entro il 31 dicembre 2012
sia stato ancora attuato. 
    E' evidente quindi lo scollamento che si realizza tra un  livello
di finanziamento che viene pesantemente e permanentemente  ridotto  e
una determinazione dei livelli essenziali che non e' stata rivista da
parte dello Stato. 
    In   cio'   si   realizza   una   arbitraria   violazione,    per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', anche  del  comma  II
dell'art.  117  Cost.  e  dell'art.  32  Cost.  che  compromette   la
possibilita' di garantire i livelli essenziali in materia di  diritto
alla  salute  e  ridonda  pesantemente,  per  quanto   detto,   anche
sull'autonomia costituzionale garantita alle regioni dagli artt. 117,
III e IV comma, 118 e 119 Cost. 
    E' significativo al riguardo citare le conclusioni del  documento
finale delle Commissioni riunite V e XII della Camera  dei  Deputati,
approvato nell'ambito dell'Indagine  conoscitiva  sulla  sfida  della
tutela della salute  tra  nuove  esigenze  del  sistema  sanitario  e
obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014 (e quindi ben  prima
degli impugnati interventi di taglio), dove  si  afferma:  «Peraltro,
negli ultimi anni alla riduzione delle  risorse  destinate  al  Fondo
sanitario nazionale si e' sommata  la  riduzione  di  quelle  per  le
politiche socio assistenziali e per  le  non  autosufficienze.  Tutto
cio' ha fatto  emergere  la  piena  consapevolezza  che  il  Servizio
Sanitario Nazionale non puo'  sopportare  ulteriori  definanziamenti,
pena l'impossibilita' di garantire i livelli di assistenza  e  quindi
l'equita' nell'accesso alle prestazioni socio sanitarie.» (11)  (all.
6). 
    Inoltre,  e'  opportuno  considerare  la  Relazione   della   12ª
commissione  permanente  Igiene  e  Sanita',  (relatori   D'Ambrosio,
Lettieri e Dirindin), del Senato  della  Repubblica,  Sullo  stato  e
sulle prospettive del servizio sanitario nazionale, nell'ottica della
sostenibilita'  del  sistema  e  della  garanzia  dei   principi   di
universalita', solidarieta' ed equita',  del  23  giugno  2015  (all.
6-bis) dove, nelle considerazioni conclusive, si precisa tra  l'altro
che «la Commissione ritiene che non sia piu' rinviabile una revisione
dei LEA», e si evidenzia altresi' che «la  Commissione  ritiene  che,
nei prossimi  anni,  il  sistema  non  sia  in  grado  di  sopportare
ulteriori restrizioni finanziarie, pena  un  ulteriore  peggioramento
della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un deterioramento
delle condizioni di lavoro  degli  operatori.  Eventuali  margini  di
miglioramento,  sempre  possibili,  possono  essere  perseguiti  solo
attraverso una attenta selezione degli interventi di riqualificazione
dell'assistenza, soprattutto in termini di appropriatezza  clinica  e
organizzativa, evitando azioni finalizzate al mero contenimento della
spesa, nella consapevolezza che i risparmi conseguibili devono essere
destinati allo sviluppo di quei servizi  ad  oggi  ancora  fortemente
carenti,  in  particolare  nell'assistenza  territoriale   anche   in
relazione all'aumento delle patologie cronico-degenerative» (12) . 
    E' evidente quindi che la sanita' sta  diventando  in  Italia  un
problema di democrazia e  di  coesione  sociale,  a  spese  dei  piu'
fragili e dei piu' poveri. 
    Ma anche la Corte dei Conti nella delibera del 29 dicembre  2014,
Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali (all. 7)
ha chiaramente precisato che al comparto degli enti  territoriali  e'
stato richiesto, nelle manovre degli  ultimi  anni,  «uno  sforzo  di
risanamento non proporzionato all'entita'  delle  loro  risorse»,  in
base a scelte andate «a vantaggio degli altri comparti che compongono
il conto economico consolidato delle amministrazioni  pubbliche.»  Ed
ha quindi auspicato (ma evidentemente non e'  avvenuto)  che  «futuri
interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di  copertura
finanziaria in grado di salvaguardare  il  corretto  adempimento  dei
livelli  essenziali  delle   prestazioni   nonche'   delle   funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» (13) . 
    Nella dinamica di questo sviluppo  normativo  della  legislazione
statale  e'   evidente   fra   l'altro   un   fenomeno   di   abnorme
deresponsabilizzazione dello Stato, che, chiamato semmai ad assumersi
la responsabilita' (sottoponendosi anche alla conseguente verifica di
costituzionalita') di una riduzione dei Lea a seguito del venir  meno
delle risorse disponibili, ha scelto invece la strada di lasciare, da
un lato, formalmente invariati i Lea, e dall'altro di  perpetrare  un
sistema di tagli  lineari,  in  cio'  venendo  meno  ad  un  corretto
esercizio di quella funzione di coordinamento della finanza  pubblica
che e' invece richiesto dall'art. 117, III comma, Cost. 
    Ma non solo. 
    Si   potrebbe   considerare   dirimente,   nel   considerare   la
costituzionalita' della misura, l'esistenza di una intesa. E  infatti
l'art. 9-bis pretende  di  stabilire  l'applicazione  dei  successivi
articoli da 9-ter a 9-octies in attuazione delle Intese sancite dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano del 26  febbraio  2015  e  2
luglio 2015 in attuazione della lettera c) del comma 398, del'art.  l
della legge n. 140/2014. 
    Ma non e' cosi'. 
    Al riguardo occorre precisare non solo  il  mancato  consenso  in
tali sedi espresso dalla regione Veneto, ma anche  e  soprattutto  il
relativo contenzioso costituzionale che questa  ha  instaurato  (cfr.
ricorso n.r.g. 31/2015) denunciando la evidente forzatura in  cui  le
regioni stesse sono state costrette, perche' un effettivo percorso di
leale collaborazione e di auto coordinamento non e' stato, invero, in
alcun modo accordato. 
    E' opportuno  al  riguardo  ripercorrere  la  grottesca  dinamica
normativa che si e' dispiegata e che ha costretto alcune  regioni  ad
arrendersi a Una intesa che in realta' non  puo'  essere  considerata
tale senza sminuire la portata sostanziale  del  principio  di  leale
collaborazione.  Infatti,  in  base  al  comma  6  dell'art.  46  del
decreto-legge n. 66 del 2014, cosi' come modificato dalla lettera  c)
del comma 398 dell'art. l della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (14) ,
alle  regioni,  in  realta',   e'   stata   proposta   un'alternativa
impossibile rispetto a quella di subire un taglio  del  finanziamento
della sanita'.  Queste,  infatti,  in  base  a  quanto  previsto  dal
suddetto comma 6, avrebbero potuto evitarlo solo accettando un taglio
sulla spesa extra sanitaria per 3.452 milioni di euro, ovvero di  una
cifra che ne avrebbe condotto al sostanziale azzeramento. 
    Infatti, la spesa extra sanitaria delle regioni  (tra  cui  -  si
noti bene - rientra anche  la  spesa  per  l'assistenza  sociale)  e'
quella che ha maggiormente subito l'impatto delle manovre di  finanza
pubblica,  come  risulta,  infatti,   dal   Primo   rapporto   Copaff
(Commissione  tecnica  per  l'attuazione  del  federalismo  fiscale),
Condivisione tra i livelli di governo  dei  dati  sull'entita'  e  la
ripartizione delle misure di consolidamento della  finanza  pubblica,
del 16 gennaio 2014, approvato (all. 8) dalla  Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica  (istituita  dall'art.  5
della legge n. 42 del 2009) in data 14  febbraio  2014,  il  comparto
della spesa extra sanitaria delle  regioni  ha  subito,  per  effetto
cumulato delle manovre di finanza pubblica  dal  2008  al  2013,  una
riduzione pari al 38,7% (contro il 13,4  dello  Stato,  il  14,3  dei
comuni, il 27,8 delle province). La situazione era tale che l'importo
stabilito della  lettera  c)  del  comma  398  non  trovava  capienza
all'interno dell'ammontare della spesa primaria (extra sanitaria) per
beni e servizi delle regioni, dal momento che l'ammontare del  taglio
e' di poco inferiore all'ammontare complessivo della spesa.  Come  si
evince dalla tabella (all. 9: elaborazione  Cinsedo  su  dati  Copaff
2013) la spesa complessiva per beni e servizi delle regioni ammonta a
5.323.938.776,02 Euro.  Dal  momento  che  tale  aggregato  di  spesa
comprende,  per  un  importo  pari  a  1.529  milioni  di   Euro,   i
corrispettivi riconosciuti dalle regioni per garantire  il  contratto
di servizio stipulato con  Trenitalia,  al  netto  di  tale  importo,
pertanto, l'ammontare di spesa per beni e servizi sostenuta nel  2013
dalle RSO risulta pari a 3.795 milioni  di  Euro.  Per  assolvere  al
maggiore contributo richiesto dal comma 398 dell'art. 1  della  legge
140/2014 (maggiori tagli per  3.452  milioni  di  euro),  le  regioni
dovrebbero pertanto ridurre del 91% la spesa sostenuta per l'Acquisto
di beni e servizi! 
    Se quindi non avessero raggiunto l'intesa, il riparto del  taglio
sarebbe stato determinato  dal  Governo,  incidendo,  secondo  quanto
recita l'ultimo periodo del suddetto comma 6,  anche  sulle  «risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale»
e ripartito tenendo conto, non dei costi standard di cui al d.lgs. n.
68/2011, ma del Pil regionale e della popolazione residente, e quindi
a tutto discapito dei  sistemi  regionali  piu'  efficienti  (che  si
situano nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana, che
sono tra le piu' popolose e tra quelle che  registrano  un  Pil  piu'
alto) (15) 
    E' evidente che alle regioni non e'  stata  lasciata  alternativa
all'intesa. Ed e' altrettanto  evidente  che  un'intesa  che  non  ha
alternativa, perche' non vi era effettiva possibilita' di evitare  il
taglio sulla sanita', non e' tale nella sostanza. 
    Va aggiunto, peraltro, a ulteriore dimostrazione della violazione
del principio di leale collaborazione, che nessun  coinvolgimento  e'
avvenuto della (pur istituita: la prima convocazione e'  avvenuta  il
10 ottobre 2013) Conferenza permanente  per  il  coordinamento  della
finanza pubblica,  il  cui  coinvolgimento  nella  definizione  della
manovre di finanza pubblica e' imposto dall'art. 5,  comma  1,  della
legge n. 42 del 2009: «a) la  Conferenza  concorre  alla  definizione
degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in  relazione
ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;» e  poi  ribadito
dall'art. 33 del d.lgs.  n.  68  del  2011  che  la  definisce  quale
«organismo  stabile  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  fra
comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato». 
    Per tutti i profili  indicati,  quindi,  e'  difficile  anche  in
questo caso sfuggire all'antitesi che l'intera  vicenda,  considerata
anche  luce  delle  puntuali  impugnative  successive,  dimostra  con
l'ultimo periodo dell'art. 5 della Costituzione, dove si afferma  che
la Repubblica: «adegua i principi ed i metodi della sua  legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento», e,  visto  che  si
tratta di tutela della salute, con l'art. 3, secondo comma, Cost.. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-ter, comma 1, lett.  a),
commi 4 e 5, del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78,  per  violazione
degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui  all'art.
120 Cost. 
    L'art. 9-ter (Razionalizzazione della spesa per beni  e  servizi,
dispositivi medici e farmaci) stabilisce, al comma 1,  lett.  a)  che
per l'acquisto dei beni e servizi di cui alla tabella A  allegata  al
decreto-legge 78/2015, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono
tenuti a proporre ai fornitori una rinegoziazione  dei  contratti  in
essere che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari  di  fornitura
e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti  nei  contratti
in essere, e senza  che  cio'  comporti  modifica  della  durata  del
contratto, al fine di conseguire una riduzione su base  annua  del  5
per cento del valore complessivo dei contratti in essere. 
    In questi termini la norma, anche nel suo raccordo attuativo  con
i commi 4 e 5, impone di operare un taglio del  tutto  lineare  delle
forniture  che  contrasta  con  i  principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' ex art. 3 Cost., dal momento che, a  prescindere  da
ogni definizione di standard di efficienza  -  che  espressamente  la
norma ammette non esistere al momento in cui  essa  dispiega  la  sua
operativita' - impone, mettendo a rischio  la  garanzia  dei  servizi
sanitari (in violazione dell'art. 32 Cost.) e dei  Lea,  la  suddetta
rinegoziazione anche agli enti del Servizio sanitario che gia'  hanno
raggiunto elevati livelli di efficienza e di rapporto qualita'/prezzo
nelle forniture. 
    A titolo di esempio, si deve considerare che per l'erogazione dei
pasti (definiti in termini di «giornata alimentare») in una struttura
sanitaria della regione Veneto il prezzo pagato ai  fornitori  e'  di
circa 6/7 Euro, mentre in altre realta' questa cifra arriva  anche  a
superare i 20 Euro. E' evidente a questo punto che l'applicazione del
criterio stabilito della norma diventa estremamente  critico  per  la
regione  Veneto,  mentre  produce  solo  un  blandissimo  effetto  di
razionalizzazione nelle realta' inefficienti. 
    E' chiaro come questi vizi di costituzionalita'  ridondino  sulle
competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, 118 e 119
Cost., dal momento che incidono  indebitamente  sulle  determinazioni
regionali in materia di organizzazione sanitaria, anche autonomamente
considerate. 
    Al riguardo, occorre inoltre anche richiamare la recente sentenza
n. 125 del 2015, dove questa ecc.ma Corte, sebbene in relazione  alle
autonomie speciali, ma con affermazioni di principio, in  termini  di
inquadramento delle fattispecie, estendibili anche a quelle ordinarie
(16)  ,  ha  censurato  l'art.  15,  comma  13,   lettera   c),   del
decreto-legge n. 95 del 2012 (che peraltro, anziche' come  del  tutto
inopinatamente fa la norma  impugnata  disponendo  una  generalizzata
riduzione percentuale della  spesa,  stabiliva  invece  un  effettivo
criterio di standard nazionale: obbligo di non  superare  un  livello
non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti), in  quanto  tali
disposizioni non si articolavano «in enunciati generali riconducibili
alla categoria dei principi, ma pongono in essere una  disciplina  di
dettaglio. Cio' comporta che le misure in considerazione non  possono
trovare  fondamento  nella  potesta'  legislativa  concorrente  dello
Stato, cosi'  come  sostenuto  dalla  difesa  erariale.»  Ha  inoltre
precisato che la misura «disponendo una riduzione dello standard  dei
posti letto,» non tende «a  garantire  un  minimum  intangibile  alla
prestazione, ma ad imporre un tetto massimo  alla  stessa»,  per  cui
«non  appare  conforme  ai  parametri  di  riferimento  invocati  nel
ricorso» (art. 117, III comma, Cost.). 
    La norma impugnata, che stabilisce oltretutto una disposizione di
dettaglio, si pone quindi in contrasto con gli artt. 5, 117, II,  III
e IV comma, Cost. riguardo sia al corretto esercizio  della  funzione
statale di coordinamento della finanza pubblica e alla  garanzia  dei
Lea, sia alla competenza regionale in materia di tutela della  salute
e organizzazione dei sistemi sanitari, nonche' con gli  artt.  118  e
119 Cost. Contrasta inoltre con  il  principio  di  proporzionalita',
rispetto al rapporto tra mezzi e fini, e con  il  principio  di  buon
andamento della Pubblica Amministrazione nel combinato disposto degli
artt. 3 e 97 Cost., la  cui  lesione  si  riflette  sulle  competenze
costituzionali garantite  alla  regione.  Viene  inoltre  violato  il
principio di leale collaborazione di  cui  all'art.  120  Cost.,  dal
momento che nessuna forma di intesa viene prevista al riguardo. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-ter, comma 1,  lett.  b,
commi 2, 3, 8 e 9  del  decreto-legge  19  giugno  2015  n.  78,  per
violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma,  118
e  119  della  Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Il medesimo art. 9-ter, comma 1, alla lett.  b),  anche  nel  suo
raccordo attuativo con i commi 8 e 9, obbliga  in  termini  analoghi,
ovvero senza la preventiva definizione di standard di efficienza  che
possano  fornire  un  adeguato   parametro,   in   via   generale   e
indiscriminata gli enti del Servizio sanitario nazionale  a  proporre
ai fornitori di dispositivi medici una rinegoziazione  dei  contratti
in essere  che  abbia  l'effetto  di  ridurre  i  prezzi  unitari  di
fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli  contenuti  nei
contratti in essere, senza che cio' comporti  modifica  della  durata
del contratto stesso. 
    L'art. 9-ter, comma 2, dispone inoltre che le disposizioni di cui
alla lettera a) del comma 1  si  applicano  anche  ai  contratti  per
acquisti dei beni e servizi  previsti  dalle  concessioni  di  lavori
pubblici, dalla finanza di progetto, dalla locazione  finanziaria  di
opere  pubbliche  e  dal  contratto  di   disponibilita',   di   cui,
rispettivamente, agli articoli 142 e seguenti, 153, 160-bis e 160-ter
del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. 
    Il comma 3 dell'art. 9-ter, nel  declinare  l'applicazione  delle
disposizioni  di  cui  alla  lettera  b)  del   comma   1,   conferma
l'irragionevolezza delle disposizioni impugnate e  si  dimostra  esso
stesso irragionevole dal momento  che  prevedendo  che  il  Ministero
della salute metta a disposizione delle regioni i prezzi unitari  dei
dispositivi medici presenti nel sistema informativo sanitario non  ne
trae poi alcuna conseguenza, poiche'  non  fa  discendere  da  questa
indicazione  alcuna  deroga  all'obbligo  comunque  generalizzato  di
rinegoziazione, che non rimane minimamente scalfito. 
    Riguardo ai suddetti commi dell'art.  9-ter  valgono  quindi  gli
stessi motivi di incostituzionalita' sopra indicati nel punto  3  del
presente ricorso in relazione al comma 1, lettera  a),  dello  stesso
articolo, ivi  compresa  l'identica  ripercussione  sulle  competenze
regionali dei primi quattro  parametri,  in  merito  alla  violazione
degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma,  118,  119  e  120
Cost., dal momento che tali disposizioni stabiliscono, con una  norma
non certo definibile di principio, un obbligo del  tutto  analogo  di
praticare un taglio meramente percentuale della spesa nei  rispettivi
settori senza alcuna indicazione di adeguati parametri di riferimento
idonei a distinguere all'interno della stessa, quella  efficiente  da
quella inefficiente. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-quater, commi 1,  2,  4,
5, 6 e 7, del decreto-legge 19 giugno  2015  n.  78,  per  violazione
degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. 
    L'art. 9-quater, al comma 1, prevede che con decreto del Ministro
della salute, previa intesa in sede di Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, siano individuate le  condizioni  di  erogabilita'  e  le
indicazioni  di  appropriatezza  prescrittiva  delle  prestazioni  di
assistenza specialistica ambulatoriale. Al comma 2 dispone poi che le
prestazioni erogate al di  fuori  delle  condizioni  di  erogabilita'
previste dal decreto ministeriale di cui al comma  1  sono  a  totale
carico dell'assistito;  al  comma  4  stabilisce  che  gli  enti  del
Servizio sanitario nazionale  effettuano  i  controlli  necessari  ad
assicurare che la prescrizione delle prestazioni  sia  conforme  alle
condizioni e alle indicazioni del suddetto decreto  ministeriale.  Al
comma 5 stabilisce poi che in caso di comportamento prescrittivo  non
conforme alle  condizioni  e  alle  indicazioni  di  cui  al  decreto
ministeriale, l'ente adotti nei confronti del medico prescrittore una
riduzione del trattamento economico accessorio e  nei  confronti  del
medico  convenzionato  con  il  Servizio  sanitario  nazionale,   una
riduzione delle quote variabili dell'accordo collettivo nazionale  di
lavoro e dell'accordo integrativo  regionale.  Il  comma  6,  infine,
dispone che la mancata  adozione  da  parte  dell'ente  del  Servizio
sanitario nazionale dei provvedimenti di competenza nei confronti del
medico  prescrittore  comporta  la  responsabilita'   del   direttore
generale ed e' valutata ai fini della  verifica  del  rispetto  degli
obiettivi assegnati al medesimo dalla regione. 
    Tali disposizioni sono gravemente lesive della corretta  garanzia
del diritto costituzionale alla salute e  invasive  delle  competenze
regionali, dal  momento  che,  da  un  lato  stabiliscono  un  regime
gravemente  sanzionatorio  per  i  medici  del   servizio   sanitario
regionale, ma dall'altro non compensano  questa  previsione  con  una
adeguata revisione del regime  di  responsabilita'  civile  e  penale
degli stessi. In questo  modo  ogni  medico  del  servizio  sanitario
regionale viene a trovarsi, usando una metafora, tra l'incudine e  il
martello. E' noto,  infatti,  che  la  giurisprudenza  ha  esteso  «a
macchia d'olio» principi favorevoli al paziente  attore  in  tema  di
nesso casuale, onere della prova, termini  di  prescrizione,  che  si
erano  inizialmente  profilati  in   relazione   a   particolarissime
fattispecie,  come  quelle  inerenti  il  danno   da   contagio   per
trasfusioni o per assunzione di emoderivati infetti. In  questo  modo
principi del tutto peculiari e giustificati nei  casi  in  cui  erano
stati stabiliti (quello delle emotrasfusioni,  ossia  un  settore  ad
alto rischio e dominato da forte incertezza scientifica) hanno invece
generato «effetti domino» al di fuori del proprio specifico campo  di
applicazione. La cd. riforma Balduzzi  (decreto-legge  n.  158/2012),
che si era occupata del problema, non e' riuscita  in  alcun  modo  a
porvi  argine,   sollevando   anzi   ulteriori   critiche   e   dubbi
interpretativi (ad oggi irrisolti) sia nella giurisprudenza che nella
dottrina, ed anche da parte degli operatori sanitari, che si  trovano
a dover affrontare una nuova situazione  di  grande  incertezza,  che
«rischia di non risolvere, anzi di aggravare il  problema  economico,
incrementando le richieste di  risarcimento  con  l'aggancio  in  via
solidale del medico alla  struttura  responsabile  di  inadempimento»
(17) . 
    In questo contesto, la modalita' adottata dalla  norma  impugnata
per risolvere il problema dei  costi  generati  dalla  cd.  «medicina
difensiva» appare gravemente lesiva dei principi di  proporzionalita'
e  ragionevolezza:  rimettendo  ad   un   decreto   ministeriale   la
definizione  di  cio'  che  risulta  appropriato  o  meno  -  con  la
conseguente grave incertezza che non puo' che nascere dal  sostituire
la valutazione  del  medico  del  caso  concreto  con  la  complicata
interpretazione di un sistema burocratico generalizzato -, lascia del
tutto esposti i  medici  del  servizio  sanitario  regionale  o  alle
sanzioni dell'amministrazione  regionale  o  a  quelle  dei  giudici.
Risulta quindi evidente  che  tale  disposizione  produce  una  grave
alterazione del rapporto tra medico e paziente ed espone  il  sistema
al probabilissimo rischio di generare un pesante  vulnus  al  diritto
costituzionale alla salute, sia in termini di efficacia nei  percorsi
di' cura, sia per il fatto che le prestazioni della  cd.  black  list
diventeranno accessibili solo a pagamento, cioe' solo per chi  potra'
permettersele. 
    Da questo punto di vista, la norma impugnata appare in  contrasto
con il principio di proporzionalita',  sia  sotto  il  profilo  della
«connessione razionale» tra i mezzi  predisposti  e  i  fini  che  si
intendono perseguire, con addirittura il rischio di aggravamento  del
problema economico complessivo, sia sotto il profilo  della  verifica
della «necessita'», perche' non si tratta certo della soluzione  meno
invasiva che permette di ottenere l'obiettivo prefissato con il minor
sacrificio possibile di altri diritti costituzionalmente protetti (in
regioni come  il  Veneto  il  rischio  degli  eccessivi  costi  della
medicina difensiva e' stato, infatti, limitato  attraverso  forme  di
intervento diverse e non destabilizzanti come quella in oggetto). 
    Le disposizioni dei commi 1, 2, 4, 5 e 6  dell'art.  9-quater  si
pongono pertanto in contrasto con il  principi  di  proporzionalita',
ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3, 32  e  97  della
Costituzione  la  cui  violazione  ridonda  in  una   lesione   delle
competenze costituzionalmente  assegnate  alla  regione  in  tema  di
tutela della salute e organizzazione del sistema sanitario  ai  sensi
degli artt. 117, III e IV comma, e  118  Cost.,  anche  autonomamente
considerati. 
    Inoltre, dal momento che si  stabilisce,  nel  comma  1,  che  le
condizioni  di  erogabilita'  sono  definite  con  un  mero   decreto
ministeriale  che,  sebbene  adottato  previa  intesa  in   sede   di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano, non trova  a  monte  alcuna
definizione di  effettivi  principi  fondamentali  all'interno  della
norma primaria impugnata riguardo alle condizioni di  erogabilita'  e
le indicazioni di appropriatezza (si ricorda al riguardo  la  recente
sentenza n. 125 del 2015, citata in relazione all'impugnativa di  cui
al p.to 3 del presente ricorso), risulta altresi' violato,  anche  da
questo punto di vista, l'art. 117, III comma, della Costituzione. 
    L'art. 9-quater, al comma  7,  secondo  la  stessa  modalita'  di
taglio lineare delle precedenti disposizioni del comma 9-ter,  impone
che  le  regioni  o  gli  enti  del  Servizio   sanitario   nazionale
ridefiniscano  i  tetti  di  spesa  annui  degli  erogatori   privati
accreditati delle prestazioni di specialistica ambulatoriale,  e  per
l'anno 2015 obbliga a rideterminare il valore dei relativi  contratti
in  modo  da  ridurre  la  spesa   per   l'assistenza   specialistica
ambulatoriale complessiva annua da privato accreditato, di almeno l'1
per cento del valore complessivo della  relativa  spesa  consuntivata
per l'anno 2014. La norma, anche in questo caso stabilendo un obbligo
di riduzione della spesa in modo  generale  e  indiscriminato,  senza
alcuna istruttoria e senza  il  riferimento  di  alcuno  standard  di
efficienza che possa costituire un adeguato  parametro,  si  pone  in
contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalita' ex art.
3 Cost., con gli artt. 5, 117, II, III comma,  riguardo  al  corretto
esercizio della  funzione  statale  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  e  alla  garanzia  del  Lea,  nonche'  del  rispetto   alla
competenza regionale in materia di tutela della salute,  nonche'  con
gli artt. 118 e 119 Cost., e con il principio di buon andamento della
Pubblica Amministrazione di cui agli artt. 32  e  97  Cost.,  la  cui
lesione  ridonda  sulle  competenze  costituzionali  garantite   alla
regione  in  materia  di   organizzazione   sanitaria   indebitamente
compromesse.  Viene   inoltre   violato   il   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,  dal  momento  che  nessuna
forma di intesa viene prevista al riguardo. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-septies, commi  1  e  2,
del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione degli articoli
3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della  Costituzione,
del principio di leale collaborazione  di  cui  all'art.  120  Cost.,
nonche' dell'art. 5, lett. g), della legge cost.  n.  1  del  2012  e
dell'art. 11 della legge n. 243 del 2013. 
    L'art. 9-septies (Rideterminazione del livello  di  finanziamento
del Servizio sanitario nazionale) al comma 1 stabilisce che: 
        «1. Ai fini del  conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica di cui all'art. 46, comma 6,  del  decreto-legge  24  aprile
2014, n. 66, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  23  giugno
2014, n. 89, e successive modificazioni, e in  attuazione  di  quanto
stabilito  dalla  lettera  E  dell'intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  in  data  26  febbraio  2015  e
dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  in
data 2 luglio 2015, nonche' dagli articoli da 9-bis  a  9-sexies  del
presente decreto, il livello del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale a cui concorre lo Stato, come stabilito dall'art. 1,  comma
556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e' ridotto dell'importo di
2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015.» 
    In  questi  termini  la  suddetta  disposizione  riduce  in   via
permanente e senza quindi alcuna limitazione  temporale,  il  livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre  lo
Stato (il cui importo e' definito dall'art. 1, comma 556, della legge
23 dicembre 2014, n. 190 (18) ), di 2.352 milioni di euro a decorrere
dal 2015. Tale  disposizione,  come  ricordato,  costituisce  l'esito
finale delle disposizioni e del procedimento introdotto,  modificando
il comma 6 dell'art. 46 del decreto-legge n. 66 del  2014,  dall'art.
1, comma 398, lett. c) della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
    Il  taglio  si  realizza,   dal   punto   di   vista   operativo,
principalmente attraverso l'applicazione delle  misure  di  riduzione
della spesa imposte dagli  articoli  da  9-ter  a  9-quinquies  dello
stesso decreto-legge n. 78  del  2015  che,  come  si  e'  visto,  si
caratterizzano in termini di taglio meramente lineare (addirittura in
percentuale   rispetto   alla   spesa   storica),   generalizzato   e
indiscriminato. 
    Non  viene  quindi   previsto   nessun   adeguato   criterio   di
razionalizzazione della distribuzione del  taglio,  che  pertanto  si
presta  a  incidere  in  modo  indiscriminato  tanto  sulle   realta'
efficienti,  dove  minimo  e'  il  livello  di  spreco  e  quindi  la
possibilita'  di  razionalizzazione  della  spesa,  tanto  su  quelle
inefficienti, dove invece elevato e' il livello di spreco e  alta  la
possibilita' di razionalizzazione. 
    Si tratta, infatti, di una  misura  che  prescinde  completamente
dalla applicazione del criterio dei costi standard che gli  artt.  da
25 a  32  del  decreto  legislativo  n.  68  del  2011  impongono  di
considerare per la determinazione e il riparto  del  fondo  sanitario
nazionale. 
    In questi termini, la misura si pone in  evidente  contrasto  con
quanto,  con  cristallina  lungimiranza,  questa  ecc.ma   Corte   ha
affermato nella sentenza n. 193 del 2012 (e nella successiva sentenza
n. 79 del 2014), dichiarando  l'incostituzionalita',  per  violazione
dell'art. 119 Cost.,  di  «misure  restrittive  in  riferimento  alle
Regioni ordinarie, alle Province  ed  ai  Comuni  senza  indicare  un
termine finale  di  operativita'  delle  misure  stesse»,  in  quanto
possono  essere  ritenute  principi  fondamentali   in   materia   di
coordinamento della  finanza  pubblica,  ai  sensi  del  terzo  comma
dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre  obiettivi  di
riequilibrio  della  finanza  pubblica,  intesi  nel  senso   di   un
transitorio contenimento complessivo, anche se  non  generale,  della
spesa  corrente  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti  obiettivi  (sentenza  n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del  2011  e  n.
326 del 2010)». 
    Da questo punto di vista la sentenza ha implicitamente  affermato
che il legislatore puo' ristrutturare in termini definitivi la  spesa
solo con vere e proprie riforme e non con  tagli  estemporanei  (come
invece si dispone nel complesso  normativo  qui  impugnato),  che  al
contrario possono essere solo a tempo determinato. La sentenza  aveva
quindi fissato in un  triennio  il  limite  temporale  massimo  delle
manovre di contenimento della spesa pubblica a carico  delle  regioni
ed era stata effettivamente seguita dal legislatore che nelle  prime,
successive manovre aveva condizionato in termini triennali la  durata
delle misure di contenimento della spesa. 
    Nel caso di specie, invece, le norme impugnate,  come  detto,  si
concretizzano: i) in un catalogo  di  tagli  meramente  lineari  alla
spesa sanitaria senza che sia definito alcun  criterio  effettivo  di
sostanziale riforma del comparto (come invece  sarebbe  stato  se  si
fosse utilizzato il criterio dei costi standard (19) ; ii) in  misure
che assumono un carattere permanente. 
    Di qui l'evidente contrasto con gli articoli 3, 5, 32,  97  Cost.
che  ridonda   in   una   violazione   delle   competenze   regionali
indebitamente compresse di cui agli articoli 117, II, III e IV comma,
118 e 119 della Costituzione, anche autonomamente considerati, e  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    E'  opportuno  ricordare,  peraltro,  che  tra  gli   emendamenti
trasmessi al Parlamento con nota del  6  novembre  2014,  le  regioni
avevano chiesto di sostituire le disposizioni della legge 23 dicembre
2014, n. 190, che configuravano il taglio che poi si e' concretizzato
nella  norma  impugnata,  con  la  seguente  che  appunto   implicava
l'applicazione dei costi standard: «In assenza di tale  Intesa  entro
il predetto termine del 31 gennaio 2015, con decreto  del  Presidente
del Consiglio dei ministri, da adottarsi,  previa  deliberazione  del
Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza  dei  predetti
termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti  di  spesa  ed
attribuiti alle singole Regioni  e  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano, tenendo conto dei costi standard.» (all. 10 Nota Cinsedo del
6 novembre 2014). 
    Infine, dal momento che, come ricordato nella  «premessa  comune»
alle presenti impugnative,  i  Lea  non  sono  stati  ridefiniti,  si
determina uno scollamento tra un livello di finanziamento  che  viene
pesantemente ridotto e una determinazione dei livelli essenziali  che
non e' stata rivista da parte dello  Stato  e  quindi  si  espone  il
sistema  alla  loro  compromissione,  come  gia'  evidenziato   nelle
impugnative relative ai  precedenti  articoli  del  decreto-legge  n.
78/2015, con una ricaduta anche  sulla  autonomia  costituzionalmente
garantita alle regioni. 
    Questo nonostante questa ecc.ma Corte  abbia  in  piu'  occasioni
ribadito, e anche di recente richiamato, che  la  determinazione  dei
Lea  costituisce  «un  fondamentale  strumento   per   garantire   il
mantenimento di una adeguata uniformita' di trattamento sul piano dei
diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato  da  un
livello di autonomia  regionale  e  locale  decisamente  accresciuto»
(sentenza n. 111 del 2014),  per  cui  il  legislatore  statale  deve
«porre le  norme  necessarie  per  assicurare  a  tutti,  sull'intero
territorio nazionale, il godimento  di  prestazioni  garantite,  come
contenuto essenziale di tali diritti» (sentenza n. 207 del 2012). 
    In questi termini, oltre che con i parametri  gia'  invocati,  la
norma impugnata si pone in contrasto con quanto dispongono l'art.  5,
lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e  dell'art.  11
(Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle
funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o  al  verificarsi
di eventi  eccezionali)  della  legge  n.  243  del  2013.  La  prima
disposizione citata, infatti, prevede che la legge  di  cui  all'art.
81, sesto comma, della  Costituzione  disciplini:  «g)  le  modalita'
attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo  economico
o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d)  del
presente comma, anche in  deroga  all'art.  119  della  Costituzione,
concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli
di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali». 
    La seconda, in vigore dal 30 gennaio 2013, specifica che: 
        «1. E' istituito nello  stato  di  previsione  del  Ministero
dell'economia e delle finanze il Fondo straordinario per il  concorso
dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di  eventi
eccezionali,  al   finanziamento   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali, alimentato da quota  parte  delle  risorse  derivanti  dal
ricorso all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti
del ciclo economico del  saldo  del  conto  consolidato.  L'ammontare
della dotazione del Fondo di cui al presente comma e' determinato nei
documenti di programmazione finanziaria e  di  bilancio,  sulla  base
della stima degli effetti dell'andamento del ciclo economico, tenendo
conto della quota di entrate proprie degli enti di cui  all'art.  10,
comma 1, influenzata dall'andamento del ciclo economico». 
    E' evidente che tale disposizioni rafforzano perlomeno in via  di
principio e pur nella dinamica dell'equilibrio di bilancio, l'impegno
della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali,  riconosciuti
come imprescindibile livello di garanzia dei principi fondamentali di
eguaglianza e solidarieta'. Tuttavia,  nella  disposizione  impugnata
non traspare alcuna verifica al riguardo e  nemmeno  si  riflette  la
considerazione di quanto, come ricordato nella «premessa comune»,  e'
stato espresso in sede parlamentare e in piu' occasioni  dalla  Corte
dei Conti. 
    Di  qui  il  contrasto,  anche  a  prescindere  dalle   procedure
applicative dell'art. 11 citato, della disposizione impugnata  con  i
presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di  bilancio  deve
in  ogni  caso  considerare:  una  disposizione  dove  nemmeno   alla
considerazione stessa del problema della adeguata garanzia dei Lea e'
stata data alcuna voce. Anche in questo caso e' evidente la  ricaduta
della violazione sull'autonomia costituzionalmente riconosciuta  alle
regioni, che subisce un definanziamento senza che, in  nessuna  sede,
siano state nemmeno minimamente prese in  considerazione  le  ipotesi
specificate negli articoli di cui si denuncia la violazione. 

(1) Art. 5 (Poteri  sostitutivi),  del  d.lgs.  n.  112/98:  «1.  Con
    riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle  regioni  e
    agli enti locali, in caso di accertata inattivita'  che  comporti
    inadempimento  agli  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  alla
    Unione europea o pericolo di  grave  pregiudizio  agli  interessi
    nazionali, il Presidente del Consiglio dei ministri, su  proposta
    del   Ministro   competente   per   materia,   assegna   all'ente
    inadempiente  un  congruo  termine  per  provvedere.  2.  Decorso
    inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri,  sentito  il
    soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in  via
    sostitutiva. 3. In casi di assoluta urgenza, non  si  applica  la
    procedura di cui al comma 1 e  il  Consiglio  dei  ministri  puo'
    adottare il provvedimento di cui al  comma  2,  su  proposta  del
    Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  di  concerto  con  il
    Ministro competente. Il provvedimento in  tal  modo  adottato  ha
    immediata   esecuzione   ed    e'    immediatamente    comunicato
    rispettivamente alla Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
    Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di  Bolzano,
    di  seguito  denominata   «Conferenza   Stato-regioni»   e   alla
    Conferenza  Stato-Citta'  e   autonomie   locali   allargata   ai
    rappresentanti delle comunita' montane, che ne  possono  chiedere
    il riesame, nei termini e con gli effetti previsti  dall'art.  8,
    comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59. 4.  Restano  ferme  le
    disposizioni in materia  di  poteri  sostitutivi  previste  dalla
    legislazione vigente.» 

(2) L'art. 23, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre  2011  n.  201,
    convertito in  legge  214/2011,  prevede  che:  «lo  Stato  e  le
    Regioni, con propria legge,  secondo  le  rispettive  competenze,
    provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012,  le
    funzioni conferite dalla normativa vigente alle  Province,  salvo
    che,  per  assicurarne  l'esercizio  unitario,  le  stesse  siano
    acquisite   dalle   Regioni,   sulla   base   dei   principi   di
    sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza.  In  caso  di
    mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro
    il 31 dicembre 2012, si provvede in  via  sostitutiva,  ai  sensi
    dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131,  con  legge  dello
    Stato». 

(3) Corte  dei   Conti,   Il   riordino   delle   Province.   Aspetti
    ordinamentali   e   riflessi   finanziari.    Deliberazione    n.
    17/SEZAUT/2015/FRG, pag. 40. 

(4) Ivi, pp. 40 e 41. 

(5) Ivi, pag. 58. 

(6) Ivi, pag. 59. Si precisa, inoltre, a pag. 70: «Intanto il  quadro
    finanziario di riferimento per  la  predisposizione  dei  bilanci
    2015 sconta la riduzione di spesa corrente di 1 miliardo di euro,
    stabilito dall'art. 1, comma 418, della legge di stabilita' 2015,
    modificato dall'art. 4,  comma  5-ter  del  decreto-legge  «mille
    proroghe», convertito con legge 27 febbraio 2015, n. 11, che va a
    sommarsi alla riduzione di risorse  ex  art.  16,  comma  7,  del
    decreto-legge n. 95/2012 - incrementate di ulteriori  50  milioni
    (da 1.200 a 1.250), al contributo alla finanza pubblica stabilito
    dall'art. 47, comma 1 del decreto-legge  n.  66/2014  complessivi
    576,7 (di cui 510 per spese correnti) e all'ulteriore  contributo
    alla finanza pubblica di  60  milioni  di  cui  all'art.  19  del
    decreto-legge  n.   66/2014.   L'attuazione   di   questa   nuova
    impegnativa  misura  di  concorso  agli  obiettivi   di   finanza
    pubblica,  per  le  Province  e  le  Citta'   metropolitane,   va
    considerata sotto il profilo della sostenibilita' della stessa  a
    partire dalla gestione 2015 e, di conseguenza,  nella  proiezione
    per l'arco triennale di previsione dei  bilanci,  soprattutto  in
    considerazione  dei  ridotti  spazi  di  spesa  corrente   ancora
    aggredibile  all'esito  delle  precedenti  riduzioni  di  risorse
    poc'anzi richiamate». 

(7) Ivi, p. 97. 

(8) Cosi', con molta chiarezza, G. Trovati, Una  riforma  schiacciata
    dal «tutti contro tutti», in IlSole24Ore, 5 ottobre 2015, pag. 5. 

(9) Cfr. per tutti, F. Pammolli, G. Papa, N.  C.  Salerno,  La  spesa
    sanitaria pubblica in Italia:  dentro  la  «scatola  nera»  delle
    differenze    regionali.     Il     modello     SaniRegio,     in
    http://www.astrid-online.it/Politiche-/Documenti/CERM_Sanit-_26_1
    0_09.pdf.  

(10) Camera dei Deputati, Commissioni  riunite  V  (Bilancio)  e  XII
     (Affari Sociali), Indagine conoscitiva sulla sfida della  tutela
     della  salute  tra  nuove  esigenze  del  sistema  sanitario   e
     obiettivi di finanza pubblica, 4 giugno 2014. 

(11) Ivi, p. 108. 

(12) Senato  della  Repubblica,  Relazione  della   12°   Commissione
     permanente (igiene e sanita') sullo Stato  e  sulle  prospettive
     del  servizio  sanitario  nazionale  e  sulle  prospettive   del
     servizio sanitario nazionale, nell'ottica  della  sostenibilita'
     del sistema e della  garanzia  dei  principi  di  universalita',
     solidarieta' ed equita', 23 giugno 2015, pag. 49. 

(13) Corte dei Conti, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti
     territoriali, Deliberazione n. 29 del 29 dicembre 2014, p. VII. 

(14) Art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014,  cosi'  come
     modificato dalla lettera c) del  comma  398  dell'art.  1  della
     legge 23  dicembre  2014,  a  190:  «6.  Le  regioni  a  statuto
     ordinario,   in   conseguenza   dell'adeguamento   dei    propri
     ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza  pubblica
     introdotti  dal  presente  decreto  e  a  valere  sui   risparmi
     derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente applicabili ai
     sensi  dell'art.  117,  comma   secondo,   della   Costituzione,
     assicurano un  contributo  alla  finanza  pubblica  pari  a  500
     milioni di euro per l'anno 2014 e di 750  milioni  di  euro  per
     ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, in ambiti di spesa  e  per
     importi proposti in  sede  di  autocoordinamento  dalle  regioni
     medesime,  da  recepire  con  Intesa  sancita  dalla  Conferenza
     permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
     autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31  maggio  2014,  con
     riferimento all'anno 2014 ed entro il  30  settembre  2014,  con
     riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa
     entro  i  predetti  termini,  con  decreto  del  Presidente  del
     Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa  deliberazione  del
     Consiglio dei ministri,  entro  20  giorni  dalla  scadenza  dei
     predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad  ambiti
     di spesa ed attribuiti alle singoli regioni e Province  autonome
     di Trento e  Bolzano,  tenendo  anche  conto  del  Pil  e  della
     popolazione  residente,  e  sono  rideterminati  i  livelli   di
     finanziamento  degli  ambiti  individuati  e  le  modalita'   di
     acquisizione delle risorse da parte dello Stato.  Per  gli  anni
     2015-2018 il contributo delle regioni a  statuto  ordinario,  di
     cui al primo periodo, e' incrementato di 3.452 milioni  di  euro
     annui  in  ambiti  di  spesa  e  per  importi   complessivamente
     proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza,  in
     sede di autocoordinamento dalle regioni da recepire  con  intesa
     sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
     le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  entro
     il 31  gennaio  2015.  A  seguito  della  predetta  intesa  sono
     rideterminati  i   livelli   di   finanziamento   degli   ambiti
     individuati e le modalita'  di  acquisizione  delle  risorse  da
     parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro  il  predetto
     termine del 31 gennaio  2015,  si  applica  quanto  previsto  al
     secondo periodo, considerando  anche  le  risorse  destinate  al
     finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.» 

(15) E  cio',  peraltro,  in  evidente  contrasto  con  il   criterio
     stabilito da questa ecc.ma Corte nella sentenza n. 79 del  2014,
     dove, in relazione all'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012,
     ha precisato che un taglio alle risorse regionali  applicato  in
     misura proporzionale anche alle spese sostenute  per  i  consumi
     intermedi, nel senso di  imporre  maggiori  riduzioni  a  quelle
     Regioni che abbiano effettuato maggiori  spese  per  i  suddetti
     consumi intermedi, realizza «un effetto  perequativo  implicito,
     ma  evidente,  che  discende  dal  collegare  la  riduzione  dei
     trasferimenti statali all'ammontare delle spese  per  i  consumi
     intermedi,  intese  quali  manifestazioni,  pur  indirette,   di
     ricchezza delle Regioni». In questi termini la  sentenza  n.  79
     del  2014  ha  ritenuto  che  «una  simile  misura  perequativa.
     tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost. in quanto non  soddisfa
     i requisiti ivi prescritti, in particolare al terzo ed al quinto
     comma». E' indubitabile che il criterio del PII regionale assume
     la stessa valenza perequativa vietata del tutto analoga a quella
     della spesa per consumi intermedi. 

(16) La sentenza, infatti, solo dopo aver esplicitato le affermazioni
     piu' generali  riportate  di  seguito  nel  testo  del  ricorso,
     precisa che l'ulteriore argomentazione,  che  e'  relativa  solo
     alle  autonomie  speciali  che  auto   finanziano   il   sistema
     sanitario, e' solo aggiuntiva a quanto  in  precedenza  afferma.
     Precisa, infatti: «A tale argomento si aggiunge il  rilevo  che,
     ai sensi dell'art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n.
     724 (Misure di razionalizzazione della  finanza  pubblica),  «La
     regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano
     provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale nei
     rispettivi territori, senza alcun apporto a carico del  bilancio
     dello Stato [...]». Dunque, come meglio chiarito  in  prosieguo,
     lo  Stato  non  ha  comunque  titolo  per   dettare   norme   di
     coordinamento  finanziario  che  definiscano  le  modalita'   di
     contenimento di una spesa  sanitaria  interamente  sostenuta  da
     tali enti». 

(17) V. Carbone, La responsabilita' del medico pubblico dopo la legge
     Balduzzi, in Danno e resp., 2013, IV, p. 392. 

(18) Art. 1, comma 556, della legge n. 190 del 2014: «556. Il livello
     del  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  a   cui
     concorre lo Stato  e'  stabilito  in  112.062.000.000  euro  per
     l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro  per  l'anno  2016,  salve
     eventuali rideterminazioni in attuazione dell'art. 46, comma  6,
     del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66,  convertito,  con
     modificazioni,  dalla  legge  23  giugno  2014,  n.   89,   come
     modificato dal comma 398 del presente articolo, in attuazione di
     quanto previsto dall'art. 1, comma 1, del Patto per la salute.» 

(19) Peraltro il criterio dei costi standard e'  stato  ora  inserito
     anche nella riforma costituzionale in discussione in Parlamento,
     nell'art.  119  Cost.,  dove,  per  evitare   inglesismi   nella
     Costituzione,  si  e'  fatto  riferimento   a   «indicatori   di
     riferimento di costo e di fabbisogno che  promuovono  condizioni
     di efficienza».